La transizione energetica e le sfide per i paesi produttori di petrolio

Il prof. Antonio Marrone ci consegna un quadro accurato sul tema "Net Zero"

La transizione energetica a livello globale guiderà obbligatoriamente i fair prices delle materie prime. Per i produttori un passaggio verso combustibili più puliti amplificherà le sfide già affrontate lo scorso anno con la pandemia, suscitando domande su come i Paesi ricchi di risorse potranno uscire dalla transizione energetica nel miglior modo possibile. L’Agenzia Internazionale per l’energia ha, comunque, avvertito del drastico impatto che potrebbe avere il perseguimento di un obiettivo così ambizioso quel quello delle emissioni zero entro il 2050. La quota di produzione mondiale dell’Opec si ridurrebbe al di sotto della metà del totale, poiché le forniture di petrolio e gas si concentrano su un numero minore di Paesi, ma il reddito pro capite annuo di queste materie prime potrebbe diminuire fino al 75% entro il 2030. Per decenni i boom e le crisi dei prezzi del petrolio hanno determinato ampie oscillazioni del PIL degli Stati produttori, sottolineando le fragilità economiche e l’urgente necessità di sviluppare nuovi settori di attività per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili.

Gli esperti ritengono che i paesi, in cui le esportazioni di idrocarburi costituiscono gran parte del prodotto interno lordo, ne soffrirebbero intensamente. Sarebbero anche i meno resilienti quelli dove i ricavi dalla vendita di petrolio, gas e carbone non sono stati adeguatamente gestiti. Ciò potrebbe significare non utilizzare il denaro per diversificare e promuovere altri settori a livello nazionale o creare un fondo sovrano che effettui investimenti all’estero per garantire entrate a lungo termine. Sarà fondamentale il modo in cui le economie dipendenti dai combustibili fossili apportino gli aggiustamenti annunciati dalla transizione energetica. Essi rappresentano quasi un terzo della popolazione mondiale ed a loro viene attribuito un quinto delle emissioni globali di gas serra; il loro successo o fallimento in un’economia globale a basse emissioni di carbonio potrebbe avere implicazioni diffuse per la geopolitica, la disuguaglianza globale, la sicurezza energetica e i modelli di migrazione.

Tra i paesi  impreparati ad un tale impatto ci sono Libia, Venezuela, Guinea, Nigeria, Iraq, Iran, Guyana, Algeria, Azerbaigian e Kazakistan, secondo la Banca Mondiale. Queste nazioni non hanno diversificato le esportazioni o spostato le loro economie verso industrie non inquinanti. La maggior parte è stata afflitta da guerre, attanagliata da una diffusa povertà o incapace di garantire investimenti internazionali per allontanare i combustibili fossili. Molti di loro sono anche tra i più vulnerabili agli effetti reali dei cambiamenti climatici; la pandemia avrebbe dovuto offrire a questi Paesi l’ occasione per diversificare dagli idrocarburi. Ma si può sperare che lo shock dello scorso anno indichi la strada per riforme radicali? Intanto l’allarme non è durato, perché i prezzi hanno ripreso a salire, dai 38 dollari al barile di ottobre ai 66 dollari di oggi. Invece di tagliare gli stipendi del governo e perseguire gli investimenti e la revisione economica che sarebbero necessari, lo Stato ha affrontato la disoccupazione aggiungendo ancora più impegni sociali al libro paga statale; allorché il prezzo del petrolio è salito nuovamente, le richieste dello Stato sociale sono tornate all’ordine del giorno e la pressione è tornata a utilizzare la spesa pubblica.

La transizione verso combustibili più puliti rischia di danneggiare le catene di approvvigionamento e le imprese che servono i settori delle risorse naturali. L’interruzione dei flussi di entrate e dei mercati del lavoro significa che per ora ci sono pochi incentivi per questi produttori nazionali ad aderire a iniziative globali per combattere il cambiamento climatico. Molte economie petrolifere hanno riconosciuto il rovescio della medaglia di essere legati alle esportazioni di combustibili fossili e ai prezzi volatili delle materie prime. La corruzione, la cattiva gestione dei fondi statali e dei sussidi hanno anche portato a nazioni burocratiche e dipendenti dal governo piuttosto che a stati imprenditoriali dinamici. Tuttavia non è del tutto chiaro quali economie soffriranno nella transizione energetica. L’Arabia Saudita e la Russia – il secondo e il terzo produttore di petrolio al mondo – sono vulnerabili ma le loro economie più complesse e le maggiori riserve finanziarie hanno rafforzato la loro resilienza nonostante la loro elevata esposizione alle esportazioni di idrocarburi. Canada, Norvegia, Australia e Emirati Arabi Uniti sono tra coloro che dipendono si’ dalle vendite di combustibili fossili, ma che hanno pero’ sviluppato con successo anche altre aree delle loro economie

Sembra ormai chiaro che a dettare la velocità del cambiamento saranno i progressi tecnologici, lo slancio politico, la regolamentazione e il modo in cui i grandi consumatori di energia sceglieranno di soddisfare i propri bisogni. Anche le nuove catene di approvvigionamento legate ai sistemi energetici del futuro porranno delle sfide, dalla fornitura di metalli come il litio alla produzione di batterie, turbine eoliche e pannelli solari. La maggior parte dei ministeri dell’energia nei Paesi produttori punta sui combustibili fossili che, ritengono, resteranno una parte importante del mix energetico per i decenni a venire. Secondo il Natural Resource Governance Institute con sede a New York, le compagnie energetiche statali spenderanno 1,9 trilioni di dollari americani in nuovi progetti di petrolio e gas entro il 2030. Nonostante le ambizioni dello zero netto, la realtà dei consumi di oggi è molto diversa: si prevede che le economie in via di sviluppo nella sola regione asio-pacifica rappresenteranno quasi i due terzi della crescita della domanda globale di energia da qui al 2040.

Per i produttori, il calcolo è che anche se la domanda di petrolio e gas diminuisce, saranno comunque in grado di vendere le loro preziose merci per gli anni a venire e di essere determinanti per l’ energia. Una carenza di investimenti potrebbe influire sulla stabilità dei mercati, i prezzi potrebbero aumentare notevolmente nella transizione e potremmo assistere a carenze di prodotti, il che avrebbe un impatto sull’economia globale. Anche i grandi consumatori di combustibili fossili, come il Giappone, sono diffidenti nei confronti della crescente spinta a chiudere nuovi investimenti nello sviluppo di petrolio, gas e carbone. Temono per la loro sicurezza energetica se le energie rinnovabili non dovessero riuscire a sostituire la forte domanda di idrocarburi. Durante la transizione energetica una carenza di investimenti potrebbe influire sulla stabilità dei mercati, i prezzi potrebbero aumentare e potremmo assistere a carenze di prodotti, il che avrebbe un impatto sull’economia globale.

Tra i produttori anche l’Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio al mondo con i barili a minor costo, è nervosa. Nonostante un’economia più forte rispetto ad altri produttori e grandi piani per creare nuove industrie – dalla tecnologia al turismo – il regno è preoccupato per un deficit di cassa prima di essere in grado di sviluppare sufficientemente nuove fonti di reddito. Altre realtà oil dipendenti sono ostacolati dall’incapacità di generare e distribuire elettricità in tutto il Paese: ad esempio , la Nigeria, lo Stato più popoloso africano, è tra i meno elettrificati al mondo su base pro capite, con molte aziende in gran parte costrette a generare la propria energia utilizzando generatori diesel costosi e inquinanti. Ciò impedisce il passaggio da un modello di crescita basato sugli idrocarburi e ad alta intensità di capitale a uno basato sul lavoro o sulla conoscenza tecnologica. La speranza è che una risoluzione della crisi energetica aiuti altri settori a prosperare. Il mondo arrivera’ a zero emissioni nette entro il 2050? Pare improbabile che le economie più povere si uniscano al carrozzone dello zero netto con fervore per le loro limitate scelte economiche e politiche. Il ritmo irregolare della transizione energetica potrebbe minacciare di far deragliare il suo successo se non adeguatamente ed opportunamente gestito. Non è utile ed appropriato per i Paesi più ricchi imporre il costo di questa transizione ai Paesi più poveri. Una transizione lontana dall’economia dei combustibili fossili rappresenterebbe la rovina per i Paesi vincolati ai fossili e per i suoi popoli.

prof. Antonio Marrone

Special thanks to Dott.ssa Alessandra Galloni – Reuters

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