La Cina tenta di fermare la speculazione sul prezzo delle materie prime

Mossa disperata del governo di Pechino nel tentativo di limitare in qualche modo il rincaro delle materie prime

La Cina sta cercando di fermare il boom di prezzi delle materie prime minacciando severe sanzioni per chi diffonde notizie false o specula sul valore di quest’ultime. Già Domenica sera Bloomberg aveva anticipato che il governo cinese aveva ravvisato le principali compagnie produttrici di metalli che ci sarebbero state conseguenze nel caso in cui vi fossero state speculazioni sui prezzi o comportamenti di tipo monopolistico, come approvvigionamento di fonti in quantità tale da limitarne la disponibilità sul mercato.

Oggi invece, secondo Reuters, l’autorità di regolamentazione bancaria cinese sembrerebbe aver vietato alle banche di vendere prodotti correlati alle commodities, ma anzi avrebbe chiesto (o forzato?) loro di liberare posizioni speculative nette sui principali asset inerenti alle materie prime. Le autorità non hanno però commentato le voci circa questa possibilità ed hanno evaso le domande di Reuters. La mossa arriva allorquando i prezzi delle materie prime  nei mercati sia onshore che offshore hanno sollevato preoccupazioni normative sui rischi delle scommesse speculative, spingendo il pianificatore statale cinese a prendere misure di controllo dei prezzi.

La reazione finanziaria è stata immediata, con un crollo di circa il 5% per l’acciaio e altrettanto per il ferro. Li Ye, analista di Shenyin Wanguo Futures Co, ha detto a Bloomberg che il “rapido aumento dei prezzi delle materie prime ha gravemente colpito i produttori e gli ordini di mercato, portando a perdite e insolvenze”. Il rischio è di un’influenza maggiore sui valori del mercato a causa dell’intervento politico.

A lungo termine però i provvedimenti adottati dalle autorità e dalla BoC non sembrano poter riuscire a limitare la volatilità sui mercati, ma anzi il susseguirsi di drastiche prese di posizione, potrebbe nel breve portare ad ulteriore instabilità, mentre nel lungo periodo non sortirebbe alcun effetto. In una nota ufficiale, Citigroup Inc. ha anticipato che è probabile che i cinesi debbano affrontare un “potenziale esaurimento delle opzioni politiche” per frenare i prezzi, che sono i più alti degli ultimi 10 anni. “Nel mirare ai prezzi delle materie prime – si legge su Bloomberg – le autorità stanno combattendo tendenze su cui hanno solo un controllo parziale mentre l’economia mondiale sta tentando una ripresa dopo la battuta di arresto subita con la pandemia da Sas-Cov2”.

Alcuni sostengono che il rincaro delle materie prime sia stata una mossa mirata a danneggiare la ripresa economica cinese, che aveva un leggero vantaggio rispetto alle altre super-potenze economiche, dato che il governo di Pechino è riuscito a meglio gestire la crisi pandemica. La Cina è il più grosso importatore di metalli di base ( ricordate i rottami di rame e la mancanza di scorte? Potete leggere l’articolo qui ), ma anche di Natural Gas e di petrolio; è logico dunque supporre che un aumento sconsiderato delle materie prime possa portare ad uno scenario di ripresa economica difficile e più lento. Ricordo che pochi mesi or sono lessi il report di un importante agenzia economico-finanziaria la quale riportava vari possibili scenari post-pandemici e fra questi c’era l’ipotesi, che poi si è realizzata, che i paesi Orientali sarebbero riusciti a meglio gestire la pandemia e ad avviare una ripresa economica organizzata prima degli altri, grazie anche alla loro forma di governo e di controllo sulla popolazione. Può essere l’aumento delle materie prime la contromossa dei paesi Occidentali? Staremo a vedere

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